lunedì 30 agosto 2010

FONDUE BOURGUIGNONNE




Alzi la mano chi, udendo la parola “Borgogna”, corre istintivamente col pensiero ai duchi Filippo l’Ardito, Giovanni l’Impavido, Carlo il Temerario (un Robertino il Codardo, manco a pagarlo oro!) e ai castelli di Bazoches, Tanlay, Cormatin… Risultato: nessuna mano alzata. La sollevi, ora, chi associa alla Borgogna vino, senape e fonduta: en pleine di mani alzate!!! C.v.d. (Come volevasi dimostrare: l’unica cosa di matematica che ricordi!) Sorvoliamo, dunque, su storia ed arte di questa fascinosa regione della Francia centrale ed andiamo dritto dove ci portano… le mani: alla sua cucina! Perché, dopo avervi svelato tutti gli arcani della “Paella valenciana”, nel presente post vi dirò tutto quello che avreste sempre voluto sapere ma non avete mai osato chiedere su un altro celeberrimo piatto della gastronomia mondiale: la “Fondue bourguignonne” . Il piatto consiste nella frittura rapidissima di pezzetti di carne in una pentola particolare, che va riempita per metà di olio bollente e posizionata al centro della tavola, su un treppiede che sormonta un fornelletto. Quest’ultimo ha il compito di mantenere costante la temperatura dell’olio e funziona a gelatina oppure ad alcool: sì, proprio quello rosa del supermercato, terrore ed incubo di tutti i bambini della mia generazione (la sottoscritta in primis) poiché illo tempore veniva utilizzato per disinfettare la cute dei teneri sederini prima delle allora dolorosissime iniezioni. Logicamente l’operazione “accensione fornelletto” richiede un minimo di accortezza per evitare che la tovaglia prenda fuoco trasformando l’ameno convito in un raduno di pompieri. Parliamo ora della caratteristica peculiare della specialità borgognona oggetto del nostro dire: il suo essere estremamente conviviale. Ciò è determinato dalla lentezza del processo di cottura della carne: va da sé che l’attesa stimola la comunicazione verbale tra i commensali, a meno che qualcuno non preferisca schiacciare un pisolino tra un boccone e l’altro o lubrificare il gargarozzo con generose innaffiate del nettare di Bacco. Lasciamo che i signori uomini, sempre banali e superficiali nella scelta degli argomenti di conversazione, disquisiscano di crisi di governo ed elezioni anticipate: noi fiondiamoci sul gossip, così potremo fare sfoggio della cultura che ci siamo fatto quest’estate sotto l’ombrellone sfogliando i vari “Chi”, “Dipiù”, “Maddai”…. E poi, vogliamo mettere le grandi soddisfazioni che dona allo spirito lo spettegolare tra donne della cellulite della Marini o delle labbra-canotto della Lecciso? Ma torniamo alla nostra sciccosissima “fondue”: che tipo di carne ci vuole? Se, oltre a vostro marito, avete sposato la filosofia di Paperon de’ Paperoni secondo la quale due euro risparmiati è meglio che one, lasciate perdere la douce France e le sue fondues: invitate i vostri amici al Mac Donald’s e precisate che si paga alla romana. La “bourguignonne” esige la perfezione, quindi la dispendiosità: polpa pregiatissima (filetto o controfiletto), magrissima, tenerissima (Levissima solo se siete così astemi da preferire l’acqua all’ottimo rosso con cui la carne predilige accompagnarsi). Se poi la fonduta volete farla lo stesso utilizzando tagli mediocri, sappiate che tutti avranno il diritto di darvi della str… e di optare per il Mac Donald’s di cui sopra (senza di voi, però!). Passiamo al condimento: una volta infilzato il succulento cubetto con l’apposita forchettina a due punte dal manico di legno pippobaudesco (lunghissimo, cioè) messo a cuocere nell’olio e ritirato nel proprio piatto a più scomparti possibilmente senza dispensare schizzi di grasso bollente a destra e a manca, quali salsine fargli trovare ad attenderlo? A questo riguardo le indicazioni sono piuttosto rigide: che piacciano o no, sono d’obbligo salsa rossa, bernese, tartara e bourguignonne (io vi ho aggiunto tzatziki, ajvar e pesto alla menta e il senso di colpa non mi abbandona ancora). Per concludere in bellezza, c’è chi giura che la “Fondue bourguignonne” nasconda un risvolto erotico e perfino orgiastico, favorito dallo stare vicini vicini attorno al fornello, dal prendere i bocconcini dallo stesso piatto, dal passarsi le verdure e le salse, dal riempirsi a vicenda il bicchiere… Capito, ragazze? Perciò, di corsa! Tutte a preparare la “bourguignonne”!






INGREDIENTI:


150-200 grammi pro capite di filetto di manzo (io ho fatto un misto di manzo e vitello) tagliato a cubetti monoboccone di un paio di centimetri di lato;






un vassoio extralarge stracolmo di verdure fresche e croccanti tagliate a bastoncino o come vi pare, da gustare in pinzimonio come contorno alla carne;






tante sfiziose salsine preferibilmente fatte in casa (tanto la maggior parte di esse si possono preparare con qualche giorno di anticipo e conservare in frigorifero, protette da pellicola trasparente), tra cui non possono mancare le quattro sopracitate (se non vi piacciono le darete al gatto).






Non credo che occorra istruirvi su come tagliare carne e verdure, per cui passo direttamente a spiegarvi come si fanno le salsine... eccetto la "bourguignonne", di cui non sono riuscita a reperire la ricetta. Ne ho acquistato un vasetto di marca francese al supermercato e leggendo gli ingredienti riportati sull'etichetta ho capito che è a base di vino rosso, malgrado all'assaggio sappia più di aceto. Eccola:







Bene, ora finalmente potrò dare uno scopo alla mia vita: scoprire la ricetta della "sauce bourguignonne"! Eccovi le altre.






SALSA KETCHUP
INGREDIENTI:


500 grammi di polpa di pomodoro fresco, senza semi
(io ho usato i perini da sugo)

50 ml di ottimo aceto di vino rosso

50 ml di olio extravergine di oliva

40 grammi di zucchero semolato

1 cucchiaino raso di sale

1 cucchiaino di maizena

1 cipolla

1 carota

1 gambo di sedano

1 spicchio di aglio

un pezzetto di stecca di cannella

qualche chiodo di garofano

peperoncino a piacere



Il ketchup non ha certo bisogno di presentazione. Mi ha divertito prepararlo in casa e non appena l’ho assaggiato mi è partito un sorriso a trentadue denti, perché mi è venuto davvero buono, molto più di quello in commercio! Fate dorare nell’olio caldo le verdure tritate; aggiungete la polpa di pomodoro, la cannella e i chiodi di garofano e lasciate cuocere per un quarto d’ora a fuoco basso. A questo punto unite l’aceto, lo zucchero, il sale ed il peperoncino spezzettato; mescolate e proseguite la cottura per un’oretta, sempre tenendo la fiamma al minimo e bagnando con qualche cucchiaio di acqua calda se la salsa tendesse a restringersi prematuramente. A cottura quasi ultimata aggiungete la maizena sciolta in una tazzina di acqua tiepida, per favorire l’addensamento. Passate il tutto al passaverdure o al frullatore: la vostra deliziosa salsa ketchup è bell’e pronta!





      AJVAR



E’ una salsa a base di peperoni rossi, tipica dei Balcani ma molto diffusa anche nella nostra Trieste: ottima!!!



INGREDIENTI:


3 peperoni rossi grandi e carnosi (o 4 più piccoli)

1 melanzana non troppo grande (circa 300 grammi)

1-2 spicchi di aglio

50 ml di olio di semi di girasole
(io ho usato l’extravergine di oliva)

sale

peperoncino a piacere

un filino di aceto di vino bianco



Fate arrostire in forno i peperoni e la melanzana, poi spellateli e macinateli (oppure frullateli). Mettete l’olio in una pentola larga e bassa e fatevi dorare l’aglio tritato; aggiungete la crema di ortaggi e il peperoncino, salate e lasciate stufare per almeno un’ora (la ricetta originale di ore ne prevede due, ma un tempo di cottura così lungo mi è sembrato eccessivo). A fine cottura potete condire il vostro Ajvar con poco aceto o succo di limone (io l’ho lasciato “nature”).





SALSA TARTARA



Malgrado il nome induca a pensare ai Tartari, la salsa è tutta francese: l’hanno inventata i nostri cuginetti dalla erre moscia per accompagnare la “tartare” di carne. In pratica è una comune maionese arricchita da erbe e sottaceti.



INGREDIENTI:



2 cucchiai di maionese casalinga

1-2 cetriolini sott’aceto

1 cucchiaino di capperi sott’aceto

qualche filo di erba cipollina o un pezzetto di cipolla

1 cucchiaio di prezzemolo

1 cucchiaino di senape


Amalgamate alla maionese la senape, poi unitevi tutti gli altri ingredienti finemente tritati ed un pizzichino di pepe.








SALSA BERNESE

INGREDIENTI:




60 ml di aceto di vino bianco


150 grammi di burro


3 tuorli d’uovo


2 cucchiai di dragoncello


1 scalogno


un pizzico di pepe bianco



Si tratta, in sostanza, di una maionese particolare, preparata con il burro anziché con l’olio. Va servita tiepida e, se messa in frigorifero (come ho fatto io con quella avanzata), diventa un blocco burroso immangiabile: quindi, preparatela poco prima di andare in tavola e fino al momento di servirla tenetela coperta da della pellicola di plastica trasparente, altrimenti la superficie si solidificherà (come è successo a me). Insomma, è una salsina molto delicata che richiede attenzione, ma il suo gusto insolito mi è piaciuto e la sua realizzazione casalinga si è rivelata assai meno complicata di quanto temessi! Mettete in un pentolino l’aceto, lo scalogno tritato ed un cucchiaio di dragoncello (erba aromatica  caratteristica di questa salsa che andrebbe usata fresca, ma io l’ho trovata soltanto secca, in barattolo, col nome di “estragon”); portate ad ebollizione e fate ridurre fino ad ottenere circa due cucchiai di liquido aromatizzato. Occhio, però: l’aceto evapora rapidamente! Io, pensando che occorresse molto più tempo, mi sono allontanata dai fornelli e al mio ritorno, dopo pochissimi minuti, ho trovato il pentolino vuoto! Passate l’aceto al colino e versatelo in una casseruolina pulita, che porrete in un’altra pentola più grande contenente acqua in ebollizione (la salsa va cotta a “bagnomaria”). Unite i tuorli (ricordatevi di tirare le uova fuori dal frigorifero qualche ora prima dell’utilizzo) e mescolate bene con una frusta; ci vorrà pochissimo perché si addensino. A quel punto togliete la casseruolina dal fuoco, continuando però a tenerla nell’acqua calda del bagnomaria, e incorporate, un pezzetto alla volta, tutto il burro (lasciato ammorbidire a temperatura ambiente, per facilitare l’operazione), aiutandovi con la frusta. Completate con il cucchiaio di dragoncello rimasto e con il pepe bianco.







 TZATZIKI

INGREDIENTI:



200 grammi di yogurt greco

1 cetriolo

1 o 2 spicchi di aglio, a seconda dei gusti
(a me l’aglio piace molto, quindi ho abbondato)

1 cucchiaio di olio extravergine di oliva

qualche fogliolina di menta fresca

olive nere

sale

pepe





Anche questa è una salsa famosissima: in Grecia accompagna praticamente ogni cibo, dalla carne al pesce, e costituisce un componente essenziale del kebab turco. Secondo me è meglio non prepararla con eccessivo anticipo: una sosta di un paio d’ore in frigorifero è sufficiente per consentire la totale compenetrazione dei sapori. Sbucciate il cetriolo, privatelo dei semi e grattugiatelo. Spolverizzate leggermente di sale la poltiglietta ottenuta e lasciatela in un colino a perdere quell’acqua che sicuramente comprometterebbe la buona riuscita dello Tzatziki, dopodiché adoperatevi con carta assorbente da cucina per asciugare il più possibile il povero cetriolo disidratato. Unitelo allo yogurt assieme all’aglio sbucciato e ridotto in crema, alla menta tritata (che nella versione turca viene sostituita dall’aneto), all’olio e ad un pizzichino di sale e pepe. Mescolate con cura tutti gli ingredienti. Riempite una ciotolina con la salsa e decoratela con un ciuffetto di menta e qualche oliva.



Se ne avete abbastanza di me e della mia fonduta fermatevi qui, altrimenti sorbitevi le altre foto :-) Buona "Fondue bourguignonne" a tutte (in particolare a Tiziana, Federica, Viola, Elisabetta, Dany, Imma e Marilù: occhio agli "effetti collaterali", tesorucce)!!!
 


































lunedì 23 agosto 2010

CAKE MEDITERRANEO BIS




Non si tratta di una proposta nuova, bensì del rifacimento di un cake salato che realizzai tempo fa e che incontrò il favore di tutti (perfino del figlio schizzinosetto). Stavolta mi è riuscito anche meglio:  più alto, più dorato, più soffice... Insomma, avevano ragione gli antichi a sostenere che "repetita iuvant"! :-)

La ricetta la trovate qui.















sabato 21 agosto 2010

martedì 17 agosto 2010

TRIANGOLI COCCO, CIOCCOLATO E NOCI





INGREDIENTI PER 8 TRIANGOLI GRANDI O 16 PICCOLI: 


125 grammi di farina autolievitante

2 cucchiai di cacao in polvere

125 grammi di zucchero semolato

125 grammi di burro

125 grammi di noci o noci pecan a pezzetti

60 grammi di cocco essiccato

1 cucchiaino di essenza di vaniglia


PER LA GLASSA AL CIOCCOLATO:


125 grammi di zucchero a velo

1 cucchiaio di cacao in polvere

15 grammi di burro

1 o 2 cucchiai di latte

60 grammi di noci o noci pecan a pezzetti







Preriscaldate il forno a 180 gradi. Ungete leggermente uno stampo quadrato da 24 cm. Setacciate la farina e il cacao e metteteli in un recipiente. Aggiungete lo zucchero e il cocco e mescolate, quindi unite il burro sciolto, l'essenza di vaniglia e le noci ed amalgamate il tutto.






Stendete l'impasto nella tortiera con le dita, premendo bene e in modo uniforme. Cuocete per venti minuti e lasciate raffreddare completamente la torta prima di toglierla dallo stampo.






Per fare la glassa al cioccolato, setacciate lo zucchero a velo e il cacao e uniteli in una terrina.  Aggiungete il burro sciolto e abbastanza latte da fare una glassa omogenea e spalmabile. Spalmate la glassa in modo uniforme sopra la base raffreddata usando un coltello a lama piatta. Cospargete con le noci e lasciate riposare per almeno un'ora. Tagliate a triangoli usando un coltello affilato.






Questa ricetta è tratta da: "Muffin e Dolcetti", della DIX.  

sabato 14 agosto 2010

CHEESECAKE AL CAFFE'




INGREDIENTI


PER LA BASE:


350 grammi di crumiri extradark

250 grammi di latte concentrato zuccherato


PER LA FARCIA:


500 grammi di yogurt cremoso al caffè

400 grammi di formaggio Philadelphia yo

400 ml di panna fresca da montare

100 grammi di zucchero tipo Zefiro

150 grammi di latte concentrato zuccherato

28 grammi di colla di pesce

mezzo bicchiere di caffè forte zuccherato







Con il robot da cucina riducete i crumiri al cioccolato in polvere finissima. Versate i 250 grammi di latte concentrato sulla polvere di biscotti ed impastate per ottenere il fondo della torta, che stenderete in una teglia rotonda con cerniera apribile foderata con carta da forno. Passate la tortiera in frigorifero.






Nel frattempo preparate la farcia amalgamando yogurt, formaggio, latte concentrato e zucchero. Sciogliete nel caffè caldo la colla di pesce, precedentemente messa a bagno in acqua fredda per una decina di minuti e ben strizzata; unite il liquido alla crema. 


 
 
 
Montate la panna fresca ed incorporatela delicatamente alla farcia, mescolando con un cucchiaio di legno dal basso verso l'alto. Mettete la tortiera in frigorifero e lasciate rassodare per qualche ora (meglio se per tutta la notte).
 
 
 
  
 
 
Decorate la cheesecake a piacere. Mio marito si è divertito a creare questa sorta di reticolo artistico in superficie adoperando un  topping alla nocciola, ma potete imitarlo solo se avete la mano ben ferma (io non ce l'ho). Che ne dite? E' stato bravo, vero?  Più a mangiare il dolce, però! :-)
 
 
 
 
 
Con questa deliziosa cheesecake auguro a voi tutti un piacevole Ferragosto (malgrado mezza Italia sia sotto la pioggia)!
 
 
 

martedì 10 agosto 2010

DI GALLIPOLI, FONTANE E ZUPPE

Se state curiosando per Gallipoli masticando “samienti” (semi di zucca) e "mendule frische" (mandorle fresche), com’è usanza del luogo, e siete giunti all’inizio del ponte che collega il borgo nuovo alla città antica, prima di avventurarvi nell’intrigante dedalo di vicoli e stradine tortuose che vi condurrà in una dimensione quasi irreale tra figure di altri tempi (fanciulli felici del nulla che giocano a pallone a piedi nudi e pescatori dalla pelle bruciata intenti ad intrecciare nasse davanti all’uscio di casa), gettate un’occhiata alla vetusta fontana di pietra sita nelle immediate vicinanze, di fronte all’austero castello angioino.






Soffermatevi sul “lato B”, quello rivolto a scirocco, e lasciate che le sculture che lo ornano, fascinosamente corrose dal tempo e dalle intemperie, narrino ai vostri occhi le metamorfosi di Dirce, Salmace e Biblide.





Questa sono io, in una foto dello scorso agosto, e alle mie spalle ci sono Salmace ed Ermafrodito, avviluppati in un abbraccio eterno ed indissolubile: ninfa di una fonte lei, figlio di Ermes ed Afrodite lui. Un giorno il giovane, che pare fosse di un’avvenenza da urlo, si bagnò nelle acque della fonte di Salmace e la buongustaia ninfa se ne invaghì. Avendo realizzato di non essere minimamente ricambiata, con astuzia tutta femminile attirò lo schizzinoso tra le sue braccia e a quel punto, ahimè, implorò gli dei affinché la congiungessero per sempre all’amato. Mentre Ermafrodito, poveraccio, tentava di divincolarsi con tutte le sue forze, gli dei esaudirono l’accorata preghiera, cosicché dalla fusione dei due corpi risultò un unico essere, metà uomo e metà donna. Ermafrodito (magra consolazione!) ottenne dai suoi genitori l’imperitura maledizione della fonte di Salmace, per cui ogni malcapitato maschio che si fosse tuffato in quello stagno ne sarebbe uscito effeminato. I Greci erano insuperabili nell’inventare quelle deliziose frottole che ancora oggi si studiano sui banchi del liceo con il nome di “miti”. Per le vicende di Dirce e Biblide vi rimando a Wikipedia: la prof è in vacanza! :-D
Ho voluto dedicare l’incipit di questo post alla fontana ellenica di Gallipoli perché oggi, con la scusa di proporvi un piatto gallipolino, desidero parlarvi un po’ della città che mi ha dato i natali (causa nostalgia smodata) e non potevo non partire dal monumento più famoso nonché maggiormente evocativo della sua anima greca. Pur essendo sorta ad opera dei Messapi (di stirpe illirica), Gallipoli, ex colonia magnogreca, ha infatti subito l’influenza greca così profondamente da mutare il nome messapico di Anxa in quello di Gallipoli (da Kalè polis, “città bella”, come usavano chiamarla, appunto, i Greci) e da inventarsi una leggenda sulla propria fondazione che (alla faccia della realtà storica e dei Messapi) vede come eroe fondatore nientepopodimeno che il re cretese Idomeneo, appena reduce dalla guerra di Troia.
Anche la cucina gallipolina rivela lo stretto ed inscindibile legame del mio paese con la cultura greca: il piatto che vi presento oggi, la “suppa alla caddhipulina”, viene fatta discendere direttamente dal brodetto nero spartano! In realtà le due pietanze hanno in comune ( per fortuna!!!) oramai ben poco. Il famigerato brodetto in questione, a base di carne, sangue, aceto e cipolla, era talmente rivoltante da indurre il tiranno di Siracusa Dionigi I, il quale, incuriosito, aveva voluto assaggiarlo, a sputarlo in faccia al cuoco spartano che gliel’aveva preparato. Non ci vuole un genio per comprendere l’evoluzione della pietanza: evidentemente, in tempi in cui la carne costituiva un lusso che ben pochi potevano permettersi, le massaie gallipoline la rimpiazzarono con il pesce che i loro uomini portavano a casa come bottino delle uscite in mare fruttuose, lasciando invariati gli altri ingredienti: l’aglio, la cipolla e l’aceto. Un bel giorno una mano geniale aggiunse al brodetto qualche “cummitoru te pendula” (pomodorino da pendola, che i Greci antichi non potevano conoscere perché l’America non era ancora stata scoperta) … un ciuffo di prezzemolo… un pizzichino di origano… e voilà! Era nata la superba zuppa vanto e decoro dei ristoranti gallipolini.
Cimentandomi per la prima volta nella preparazione della zuppa, non mi sono fidata delle versioni  reperibili in Internet, affidabili "forsechesìforsecheno": ho preferito “andare sul sicuro” seguendo la ricetta di mammà. Ovviamente mi sono dovuta accontentare del pesce bergamasco: è vero che sono andata ad acquistarlo in una pescheria siciliana che si fa arrivare i prodotti ittici dalla madrepatria per via aerea, evitando quello stradefunto e ammoniacale del supermercato che avrebbe restituito alla zuppa il disgustoso sapore del primigenio brodetto, ma volete mettere il pesce zompante appena scaricato dai pescherecci, venduto dagli stessi pescatori ad un prezzo irrisorio rispetto alla freschezza e alla qualità della merce? Va bene, ho cianciato abbastanza: andiamo ad iniziare!




SUPPA ALLA CADDHIPULINA
(ZUPPA ALLA GALLIPOLINA)









INGREDIENTI PER DUE PERSONE:


uno scorfano del peso di 600-700 grammi


una manciata di seppioline o calamari (o tutti e due)



due tranci di rana pescatrice



almeno quattro gamberoni gallipolini (in mancanza di questi utilizzate i rossi mediterranei)



quattro scamponi



mezzo chilo di cozze



due grosse cipolle



due spicchi di aglio



un mazzettino di prezzemolo



400 grammi di filetti di pomodoro fresco



un bicchiere di olio extravergine di oliva



mezzo bicchiere di ottimo aceto di vino bianco



un pizzico di origano



4 fette di pane casereccio









Per prima cosa preparate il brodetto nel quale dovrà cuocere il pesce. Fate dorare nell’olio le cipolle tagliate a rondelle e gli spicchi di aglio sbucciati e schiacciati; unite i filetti di pomodoro e il prezzemolo tritato. Coprite con abbondante acqua salata (circa un litro e mezzo) e fate ridurre il liquido della metà.






Nel frattempo pulite le cozze, lo scorfano e le seppioline; tagliate il pesce a pezzi (io l’ho lasciato intero, in tutta la sua bruttezza) e le seppie a striscette. Appena il brodetto sarà pronto, ravvivatelo con l’aceto ed aromatizzatelo con l’origano. Immergete nel liquido prima le seppie; dopo una decina di minuti lo scorfano, quindi la rana pescatrice, gli scamponi, i gamberoni ed infine le cozze (chiuse nel loro guscio: si apriranno nel brodo).  Calcolate da un minimo di dieci ad un massimo di quindici minuti di cottura in totale dall’immersione dello scorfano; non di più, altrimenti il pesce si disfa.






Mettete il pane nelle fondine, distribuitevi sopra il brodetto filtrato con il suo prezioso contenuto e servite.
Ideali per questa zuppa sarebbero fette di pane salentino (e ribadisco salentino: il pugliese è un’altra cosa) raffermo; non avendolo, potete arrangiarvi con del comune pane casereccio, tostato o fritto (ma sappiate che è come sostituire le ostriche con le cozze).






A chiusura di questo “post nostalgico” allego altre foto scattate durante la spensierata vacanza dell’agosto 2009 nella mia “kalè polis” :-)