venerdì 17 dicembre 2010

ASPETTANDO NATALE

C’è un paese in cui il Natale è più Natale che altrove. L’otto dicembre, per tacito accordo, spuntano in ogni casa l’albero e il presepe con l’immancabile “macu te la steddha”, lo stolto che guarda il cielo, e i quattro Re Magi: “lu Re Tromba, lu Re Carusu, lu Re Vecchiu e lu Re Moru”.  Mamme e nonne iniziano a preparare i dolci della tradizione: gli sguardi incantati dei piccini si tuffano insieme ai taralli nella candida glassa zuccherosa, nuotano coi “purceddhuzzi” nel luccicante mare di miele fuso, brillano nel riverbero dei confettini d’argento messi qua e là per decorare; e l’attesa, la lunghissima attesa, magica di colori e di profumi, diventa più festosa della festa stessa. Corti e strade, di notte, formicolano di suonatori; la Pastorale penetra nelle camere addormentate, culla nel talamo i sogni di chi riposa. Ma, più ancora, si accompagna alla nostalgia di chi non può dormire, ai lucciconi della madre che pensa al figlio lontano. A tratti la melodia sembra perdersi nel fischio del vento, nel mugghio del mare… A tratti si interrompe, il tempo di scaldare la gola intirizzita con un goccio di liquore offerto a quei donatori di emozioni da una mano ignota apparsa da una finestrella. Poi le note struggenti di chitarre, fisarmoniche e violini si riappropriano della notte e la conducono incontro all’alba.
Questi sono i ricordi che ho nel cuore: i ricordi dell'attesa... :-)







TARALLI E COZZE  'NNASPARATI (GLASSATI)


INGREDIENTI:


1 kg di farina

 250 grammi di zucchero

100 grammi di strutto oppure 200 di olio extravergine di oliva

4 uova intere

1 bustina di lievito vanigliato
 (nella ricetta originale 20 grammi di ammoniaca)

il succo filtrato di un paio di grosse arance e di alcuni 
mandarini e la loro buccia grattugiata

 vaniglia

1 cucchiaino colmo di chiodi di garofano macinati

1 cucchiaino di cannella

latte se occorre

marmellata di uva (mostarda) o cotognata per farcire


PER LA GLASSA:

un chilo di zucchero semolato

un bicchiere e mezzo di acqua fredda









Disponete la farina a fontana sulla spianatoia, amalgamatevi lo zucchero, gli aromi e il lievito, quindi lo strutto; aggiungete le uova, poi il succo degli agrumi. Impastate bene il tutto aiutandovi, se occorre, con qualche cucchiaio di latte. Per le "cozze", stendete sottilmente la pasta e ritagliatevi dei cerchietti; mettete un po' di marmellata al centro di ognuno e ripiegate i dischetti a mo' di mezzaluna, saldando bene i bordi per non far fuoriuscire la marmellata durante la cottura. Per i taralli: formate dei cordoncini di pasta non troppo lunghi ed unitene le estremità.









Cuocete in forno già caldo, a 180 gradi, per circa un quarto d'ora - venti minuti: devono risultare leggermente dorati. Lasciateli raffreddare. Intanto preparate "lu 'nnaspuru", ovvero la glassa: mettete zucchero ed acqua in una pentola larga e bassa e fate cuocere a fiamma bassa fino a quando inizierà a "filare" (prendetene una goccia tra due dita per capire quando è il momento giusto; ci vorranno una decina di minuti). Non mescolate assolutamente!








Immergete i dolci, uno alla volta, nello sciroppo di zucchero, voltandoli più volte, con delicatezza, per evitare che si rompano. Disponeteli infine su una gratella o su un foglio di carta oleata e lasciateli lì fino a quando lo zucchero non si sarà asciugato ed indurito. 














SCAJOZZI 'NNASPARATI









INGREDIENTI:

 


1 kg di farina


500 grammi di mandorle tostate, tritate grossolanamente


400 grammi di zucchero


100 grammi di cacao amaro


il succo di una grossa arancia e di un paio di mandarini


un cucchiaio di buccia grattugiata di arancia


100 grammi di strutto


un cucchiaino di chiodi di garofano macinati


un cucchiaino di cannella in polvere


1 bustina di lievito vanigliato (o 20 grammi di ammoniaca)


2 uova intere



infuso d’orzo o caffè q.b. (zuccherati leggermente) 









Impastate bene tutti gli ingredienti. Prendete un pezzo di pasta per volta: formate un bastone lungo, spesso e piatto che taglierete a pezzi grossi.  Disponete i dolci in teglie di alluminio o sulla placca del forno, rivestite di carta forno. Ripetete l'operazione fino ad esaurimento dell'impasto.  







Cuocete gli "scajozzi" in forno preriscaldato a 180 gradi per una ventina di minuti e lasciateli raffreddare. Nel frattempo preparate la glassa (procedete come per i taralli, ricordandovi di aggiungere 100 grammi di cacao amaro allo zucchero). 













La ricetta, antichissima, prevede rigorosamente la "'nnasparatura" degli scajozzi; io, però, ogni volta che li preparo non resisto a tuffarne un po' nel cioccolato al latte fuso a bagnomaria. Diventano orgasmici!!!













Prossimamente pubblicherò altre ricette di dolci natalizi gallipolini: per oggi mi fermo qui, sperando di avervi ingolosito a sufficienza. Bacioni a tutti! :-)







martedì 7 dicembre 2010

FESTE, TRADIZIONI E PUCCE

Pur vivendo a Bergamo da oltre vent’anni, l’irriducibile anima gallipolina mi vieta di relegare nel dimenticatoio le pittoresche tradizioni del mio paese natale e della mia gente. Così oggi, vigilia della festività più importante dell’Avvento, il pensiero è corso giocoforza a quella “puccia” che tante volte, fin da bambina, ha compensato con la sua indicibile bontà il mio sforzo di osservare fino a mezzogiorno il digiuno devozionale imposto dalla tradizione. Infatti il 7 dicembre, a Gallipoli, è d’obbligo digiunare fino a sera, quando si possono consumare le pietanze tipiche delle festività natalizie: baccalà con le patate, rape bollite e “pittule”. Prima di cena si può mangiare, appunto, soltanto la puccia. Chi si intende un po’ di cucina salentina sa che, solitamente, tale curioso nome designa una pagnottella rotonda e soffice (da cui la tipica espressione “faccia te puccia” per indicare un viso paffutello) condita con un tipo particolare di olive in salamoia, piccole e nere, aggiunte direttamente all’impasto prima di passarlo in forno; un pane talmente gustoso da rendere ben accettabile il fastidio di ritrovarsi con i denti neri o il rischio di rompersene uno a causa di un nocciolo dispettoso.







Alla vigilia dell’Immacolata, però, unico giorno nell’arco dell’anno, la puccia perde le olive e diventa un bel panozzo da farcire rigorosamente con tonno, acciughe e capperi, come si conviene ad una città marinara, e divorare a pranzo come unico “spezzafame” concesso durante il digiuno. In realtà, trattandosi di pezzi del peso di 200-250 grammi ciascuno, senza contare la farcitura, altro che spuntino! Ma a Gallipoli, e in tutto il Meridione, prevale sempre, soprattutto a tavola, il detto: “Melium abundare quam deficere” :-)












Ricetta delle pucce dell'Immacolata (di Antonio Fumarola):

"Dovresti procurarti la "mamma" da un panificio e poi acqua, farina "0" e sale. Il lievito "madre" è un quinto del peso dell'impasto, il sale invece un 4 cucchiaini per chilo. Fai prima lievitare l'impasto, LENTAMENTE, un tre ore, poi reimpasti facendo le forme che devono lievitare una notte a temperatura ambiente. La mattina le incidi dai lati con un coltello affilato e metti in forno a 220-250 finchè fanno la crosta dorata. La quantità di acqua è in funzione della forza della farina. Mediamente ne va il 50%... "



Un gallipolino verace, il mitico Mba Pì Tricarico (lo so che questo nome a voi non dice niente, ma a Gallipoli è un’istituzione!) mi ha fatto conoscere una bellissima usanza di tanti anni fa collegata alla giornata del 7 dicembre e alla puccia: tutti i proprietari terrieri per quel giorno mettevano a disposizione delle giare piene d’olio d’oliva nel locale dove era ubicata la sede del Banco di Napoli e la povera gente si recava liberamente con una coppa e una puccia in questo posto, inzuppava la puccia nella giara, la spremeva nella coppa e portava l’olio a casa. L’operazione veniva ripetuta più volte senza che nessuno dei signori presenti muovesse un dito. Questo per dare modo alla gente di rifornirsi di olio e nel contempo fare un po’ di beneficenza.


Per completezza di informazione, vi comunico che esiste un ennesimo tipo di puccia, di più recente nascita e diffusione, che si può gustare in qualunque pizzeria della città e il cui aspetto ricorda vagamente il pane arabo. Il ragazzo dei calzoni, dietro mia stressante richiesta, mi ha insegnato a preparare in casa pure questa. Si impastano farina, lievito di birra (mezzo cubetto per mezzo chilo di farina 0), sale, un pizzico di zucchero, un goccino di olio extravergine di oliva  e acqua tiepida q.b., poi si divide l'impasto in pezzi rotondi e si lascia lievitare per un paio d'ore; a questo punto le "palline" di pasta si passano in frigorifero e si tengono là per tutta la notte. Il giorno dopo non resta che infornarle ed il gioco è fatto.   L’unico problema è che il forno casalingo non arriva ai 350 gradi richiesti dalla ricetta, per cui, a dire del maestro, le pucce “non si sono gonfiate abbastanza”. Ma vi garantisco che nessuno ha fatto in tempo a notare questa piccola imperfezione :-D











La foto delle pucce con le olive è stata reperita in Internet; le foto delle pucce dell'Immacolata le ho avute per gentile concessione del simpaticissimo Signor Natalinu e della carinissima Flavia Sabato; le ultime due foto, infine, sono di mia proprietà ed ogni tanto me le riguardo sospirando :-)